Arrendersi o lottare? Una storia sulla paura di fallire

Arrendersi o lottare? Una storia sulla paura di fallire

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Hai mai notato che, a volte, la paura di fallire diventa talmente paralizzante da indurci a raccontare a noi stessi che non vale la pena sforzarsi più di tanto, perché tanto le cose non cambiano? Una delle cose che vedo più spesso nella mia attività di psicoterapeuta è la tendenza ad arrendersi, a pensare che lottare sia inutile perché la situazione in cui ci troviamo è senza rimedio.

Se anche tu ti ritrovi spesso a rinunciare a qualcosa prima ancora di aver iniziato, questa storia fa al caso tuo; parla di un uomo che “che credeva di essere morto”.

L'uomo che credeva di essere morto

C’era una volta un uomo molto apprensivo, temeva le malattie e soprattutto temeva il giorno in cui sarebbe arrivata la morte.

Un giorno, tra le tante idee pazze, gli venne l’idea che forse era già morto. Allora chiese alla moglie: “Dimmi, moglie, non sarò mica morto?”.

La donna rise e gli disse di toccarsi le mani e i piedi. “Vedi? Sono tiepidi! Allora vuol dire che sei vivo. Se fossi morto, le tue mani e piedi sarebbero gelidi.”

L’uomo trovò che la risposta fosse ragionevole e si tranquillizzò. Qualche settimana dopo, un giorno che nevicava, l’uomo andò nel bosco a fare la legna. Quando giunse nel bosco, si tolse i guanti e iniziò a tagliare i tronchi con un’ascia.

Senza pensarci su, si passò una mano sulla fronte e si accorse che era fredda. Ricordandosi le parole della moglie, si tolse le scarpe e i calzini e si accorse con orrore che anche i suoi piedi erano gelati. In quel momento non ebbe alcuni dubbio: si “rese conto” di essere morto.

“Non va bene che un morto se ne vada in giro a spaccare legna” disse tra sé. Così posò l’ascia accanto al mulo e si sdraiò sul suolo gelido rimanendo immobile, con le mani incrociate sul petto e gli occhi chiusi.

Poco dopo, un branco di cani si avvicinò alle bisacce dove teneva le provviste. Vedendo che nessuno li scacciava, quegli animali sbranarono le bisacce e divorarono tutto quello che c’era di commestibile. L’uomo pensò : “Sono fortunati che io sia morto. Altrimenti li avrei presi a calci”.

I cani continuarono a fiutare in giro e scoprirono il mulo legato a un albero, una preda facile per le zampe affilate dei cani. Il mulo ragliò e scalciò, ma l’uomo pensava soltanto che gli sarebbe piaciuto difenderlo, se non fosse stato morto.

Nel giro di pochi minuti divorarono anche il mulo, e alcuni cani continuavano a rosicchiare le sue ossa. Il branco di cani, insaziabile, continuava a gironzolare nei paraggi.

Non passò molto tempo che uno dei cani avvertì l’odore dell’uomo. Si guardò intorno e vide il taglialegna sdraiato per terra, immobile. Si avvicinò lentamente, molto lentamente, perché per lui gli uomini erano creature pericolose e traditrici. In pochi istanti, tutti i cani si misero intorno all’uomo con le fauci spalancate, sbavando.

“Ora mi mangiano” pensò l’uomo. “Se non fossi morto, le cose andrebbero diversamente.” I cani si avvicinarono…e vedendolo immobile se lo mangiarono.

Quello che crediamo, le cose che pensiamo di noi stessi, influenzano il nostro comportamento. Cosa succederebbe se, invece, iniziassimo a pensare che le nostre azioni sono l’unico mezzo che abbiamo per ottenere ciò che vogliamo e che sta noi decidere che atteggiamento avere?

Albert Bandura, un grande psicologo, afferma che “La fiducia in se stessi non assicura il successo, ma la mancanza di fiducia origina sicuramente il fallimento”. Sta solo a noi scegliere se comportarci da vittime o da protagonisti della nostra vita. Qual è la tua scelta?

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