Essere timidi: svantaggio o risorsa?

Essere timidi: svantaggio o risorsa?

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Pensate che essere timidi sia negativo? Non siete i soli. Viviamo in un mondo in cui ci viene detto, fin da piccoli, che dobbiamo metterci in gioco, far vedere chi siamo, essere intraprendenti. Dobbiamo prendere la parola, non aver paura di fare sentire la nostra voce. Osare. Lanciarci nella mischia.

Dobbiamo sapere stare con gli altri, essere a nostro agio in mezzo alla gente, avere una vita sociale degna di questo nome. Se non sei così, ammettiamolo, sei un po’ sfigato.

Davvero? E chi ha detto che essere timidi sia un ostacolo? Esiste forse un solo e unico modo di stare al mondo? Io credo di no.

E non ho mai pensato che essere timidi significasse essere sbagliati; come anche che la timidezza va curata, come se fosse un problema. Sarebbe come dire che avere gli occhi marroni è sbagliato, dobbiamo avere tutti gli occhi azzurri.

O, meglio ancora, che essere mancini è sbagliato, essere destrimani è l’unica vera via. Dite che non c’entra niente? Forse. È solo un modo per dire che ognuno è com’è ed è accettando se stesso che può dare il meglio di sé. Non cercando di assomigliare a qualcun altro, forzandosi di aderire ad un modello. Anche se è un modello dominante.

Certo, se pensiamo che l’unico modo per avere degli amici sia l’essere l’anima della compagnia, sempre al centro dell’attenzione, i timidi non hanno amici. Se l’unico modo per fare carriera è essere spregiudicati, farsi notare, alzare la voce sempre un po’ più degli altri, non c’è storia.

Solo, chi l’ha deciso? Sicuri che abbia senso ha trasformarsi in chi non si è? Ci sono tanti di quei luoghi comuni che potremmo stare qui a parlarne per ore. Senza arrivare da nessuna parte, perché non c’è chi ha torto e chi ha ragione. Ci sono le persone, tutte diverse l’una dall’altra.

In effetti, non so neanche se ha senso dividere il mondo in introversi ed estroversi, dato che in ognuno di noi c’è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro (per fortuna). Una cosa, però, la so. Essere timidi non è un problema. È una caratteristica. Che influisce sul proprio modo di vivere, di stare nelle relazioni, di vedere il mondo.

Forse potremmo, semplicemente, cercare di mettere a fuoco qual è il modo migliore per realizzare i nostri desideri,partendo da noi stessi. Imparando quali sono le cose che ci piacciono e che ci fanno vivere meglio.

Non ci piacciono i party affollati, le cene piene di sconosciuti, la conversazione da salotto? E dove sta scritto che ci debbano piacere per forza? Siamo più tipi da cene intime con pochi amici a cui siamo molto legati? Discussioni esistenziali sul senso della vita? Il sabato sera a casa non ci sembra una disgrazia? E perché mai dovremmo sforzarci di fare cose che non ci interessano?

Aspetta, mi sembra di sentire una voce che dice:

“Ma per uscire dalla zona di confort, ovvio!”.

Ah, la zona di confort.  Devo proprio dirvelo: questa storia dell’uscire dalla zona di confort mi ha un po’ stancato. Io dalla zona di confort non ci voglio uscire: la voglio ampliare.

Non ho detto che voglio autoconfinarmi nei limiti delle mie (presunte) sicurezze.  Intendo dire che voglio rendere il mondo un posto che sento amico. Posso, certo, decidere, se mi va, di fare qualcosa di diverso dal solito. Se mi va, se è quello che sento e che voglio.

Ho spesso l’impressione che si confonda l’aiutare le persone ad affrontare le proprie paure (cosa giustissima e sacrosanta) con l’obbligarle ad essere qualcosa d’altro, senza rispettare il loro sentire.

E, se permettete, un sano giro di “uscire dalla zona di confort” si può tranquillamente applicare anche a una persona estremamente estroversa, diciamo pure egocentrica, se la si invita cordialmente a ridimensionare un attimo il proprio ego. Guardare il modo da una prospettiva diversa dal solito, di tanto in tanto, fa bene a tutti (timidi e non!).

Voi che ne pensate?

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