Germana Galdi è una pittrice, un’artista dotata di grande sensibilità, i cui interessi spaziano negli ambiti più vari. Ha sperimentato, nel suo percorso, diverse tecniche, come la pittura su stoffa, la fotografia, la tempera, i disegni di abiti. L’acquerello, una tecnica tra le più difficili da eseguire, data l’impossibilità di apportare correzioni, rappresenta una modalità espressiva che la rispecchia in modo particolare.
Il nostro incontro è nato sul terreno della passione comune per il cinema: ci siamo conosciute ad un corso di formazione in cinema e psicologia, tenuto dallo psicoterapeuta Sergio Stagnitta.
Pur appartenendo a realtà professionali diverse, abbiamo posto le premesse di uno scambio basato sul fatto che io sono affascinata dalle arti visive e lei dalla psicologia, tanto dall’aver pubblicato, sulla rivista “Psiche Arte e Società”, un articolo in cui illustra il suo progetto artistico, “Riflessi e trasparenze”.
Le ho proposto di intervistarla per approfondire alcune tematiche, dalla forte risonanza psicologica, emerse dal nostro confronto.
Nel tuo articolo scrivi che sei attratta da “lavori minuziosi” in cui vengono valorizzati i dettagli. Come è nato in te l’interesse per i piccoli particolari?
Mi affascina l’idea di valorizzare aspetti della realtà che rischiano di passare inosservati. Se ci pensi, anche gli oggetti hanno “un’anima”, nel senso che possono trasmetterci emozioni, se guardati con occhio partecipe. Le mie opere nascono nel momento in cui mi soffermo a guardare un oggetto che attrae la mia attenzione e mi porta a fantasticare sulla storia che ha da raccontarci.
Il tuo progetto artistico si chiama “Riflessi e Trasparenze”. Ti va di dirmi qualcosa di più al riguardo?
“Riflessi e Trasparenze” nasce dall’essermi chiesta cosa accomunasse le mie prime opere in acquerello, che risalgono al 1996. Istintivamente provavo, e provo ancora, una forte attrazione nel rappresentare la trasparenza dei materiali in vetro e la capacità riflettente dei materiali di metallo.
Mi piace, nei miei quadri, catturare il modo in cui la luce entra in contatto con gli oggetti, sfiorandoli o penetrandoli in base all’intensità e al tipo di materiale.
Dal mio punto di vista, la creazione artistica non può prescindere dal voler comunicare qualcosa. La trasparenza del vetro rappresenta, per me, una metafora dell’autenticità, e della rara capacità di essere trasparenti con noi stessi e, di riflesso, con gli altri; il metallo simboleggia, invece, la riflessione, intesa come introspezione, processo interiore.
Si potrebbe dire, quindi, che noi riflettiamo (su noi stessi) per meglio trasparire.
Nei tuoi quadri si gioca un contrasto di luci e di ombre. Cosa vuole comunicare?
Il gioco d’ombre e luci vuole esprimere le polarità che sono presenti nella personalità di ciascuno di noi. Sono proprio le parti in ombra che andrebbero valorizzate e portate, pian piano, alla luce. Dal mio punto di vista, più diventiamo consapevoli di noi stessi, attraverso un percorso interiore, più siamo in armonia con gli altri e riusciamo ad esprimere appieno le nostre potenzialità, agendo sulla realtà che ci circonda.
Pensi che l’arte possa essere parte integrante di un percorso conoscitivo?
Quando una persona guarda un’opera d’arte è molto di più di un semplice spettatore: l’opera suscita delle emozioni, attraverso le quali ci si avventura dentro se stessi, e si incontra l’altro, nella misura in cui si cerca di cogliere le intenzioni dell’artista.
L’arte può e deve essere strumento di cambiamento, in primis per l’artista, che è chiamato a compiere su se stesso un lavoro costante di crescita e maturazione; è solo a questa condizione che l’arte esprime appieno il potere conoscitivo e trasformativo da cui è contraddistinta. Io stessa ho fatto della mia ricerca della trasparenza un lavoro interiore, in una prospettiva olistica, per poter maturare un modo sempre più completo e personale di fare arte.
Immagine: Essenze 2007 (acquerello su carta 12 x18 cm), per gentile concessione dell’Artista