Cosa penso di me? Cosa vedono in me gli altri? Ognuno di noi si trova ogni giorno, anche in forma non consapevole, a porsi queste domande. L’immagine di sé rappresenta una dimensione fondamentale del nostro stare al mondo; ha a che fare con la nostra identità, con le caratteristiche in cui ci riconosciamo e con quello che, invece, non sentiamo nostro.
Abbiamo bisogno di specchiarci nel mondo, per poterci riconoscere; in altre parole, la conoscenza che abbiamo di noi stessi è mediata dal confronto con gli altri, che ci rimandano una determinata immagine di noi. A nostra volta, noi facciamo lo stesso con i nostri interlocutori.
In questo gioco di specchi e di rimandi può, a volte, capitare di perdersi, facendo fatica a riconoscersi o di rimanere prigionieri di un’immagine di noi che sentiamo parziale. Può succedere di ingigantire quelli che percepiamo come difetti, rispetto ai quali temiamo il giudizio degli altri; può, inoltre, capitare di identificarci, senza rendercene conto, in un’immagine di noi che ci sta un po’ stretta, per venire incontro a delle aspettative, per aderire all’idea che, crediamo, gli altri abbiano formulato di noi.
Vorrei condividere con voi una storia che, sotto forma di fiaba, prende in esame il tema del rispecchiamento e delle insidie a cui esso si presta, sollecitando alcuni spunti di riflessione.
Il castello degli spacchi
C’era una volta un castello abitato dal re, dalla regina e da tutta la corte. Ogni stanza aveva uno specchio ben poco usato. Nessuno, infatti, amava specchiarsi, anzi, ognuno provava un certo disagio nel guardare la propria immagine riflessa.
Un giorno lo specchio di una stanza si rompe. Dopo alcuni giorni, la regina nota che in quella stanza senza specchio qualcosa è cambiato: le persone si fermano a chiacchierare tra di loro, si scambiano opinioni, conoscenze, risate. C’è un clima sereno, che mancava prima e che continua a mancare nelle altre stanze.
La regina parla col re e gli dice che, secondo lei, il motivo del cambiamento è dovuto alla mancanza dello specchio; il re non le crede, ma lei è sicura di quanto pensa e vuole verificare la sua ipotesi. Decide, quindi, di togliere lo specchio da un’altra stanza e di vedere cosa succede.
Dopo alcuni giorni il re non può che dare ragione alla regina: anche in questa stanza succede che le persone si sentono a loro agio, non c’è più quell’imbarazzo che c’era prima e che si continua a percepire nelle stanze con gli specchi.
A questo punto, il re e la regina sono curiosi di conoscere l’origine di quegli strani specchi; fanno una ricerca negli archivi del regno e scoprono che erano stati costruiti da un alchimista, il quale aveva l’ambizione di indicare la perfezione.
Nel realizzare gli specchi aveva usato una formula magica che metteva in risalto i difetti di chiunque si specchiasse; l’alchimista voleva, in questo modo, stimolare le persone a migliorare se stesse, correggendo i loro difetti. Aveva ottenuto, invece, disagio e vergogna, perché alle persone non piaceva vedere in primo piano i propri
difetti, senza poter vedere contemporaneamente anche i propri pregi.
Il re e la regina decidono di eliminare i vecchi specchi e di compararne dei nuovi. Vanno, quindi, nella città degli specchi e si aggirano tra i negozi per trovare quelli più adatti; nel primo negozio il vetraio è specializzato in cornici e, quando chiedono di vedere gli specchi, il vetraio non fa che decantare la bellezza e il pregio delle cornici.
Nel secondo negozio ci sono, invece, bellissimi specchi a mosaico, composti da tanti piccoli pezzi messi insieme; sono belli, ma consentono di vedere solo un piccolo pezzo per volta e non la figura intera.
Il terzo negozio vende specchi che fanno sembrare alto chi, invece, è basso, basso chi è alto, magro chi è un po’ grasso e un po’ grasso chi è magro. Il re e la regina pensano che ne hanno già avuto abbastanza di specchi deformanti.
Chi avrebbe mai detto che fosse così difficile trovare un semplice specchio? Proprio mentre stanno per rinunciare, il re e la regina si trovano davanti un laboratorio, dove un vetraio sta ultimando uno specchio. Il vetraio sembra molto sereno e soddisfatto. Il re e la regina gli domandano cosa hanno di particolare i suoi specchi.
Il vetraio risponde che i suoi specchi sono molto semplici, essenziali, svolgono la loro funzione naturale. “Qual è la funzione naturale di uno specchio?” domandano il re e la regina. Il vetraio risponde “E’ quella di rispecchiare”.
Il re non sembra soddisfatto della risposta. Chiede ancora al vetraio: “Tu che sei esperto dimmi, qual è il segreto racchiuso negli specchi, qual è la loro magia?”. Il vetraio ci pensa su e poi risponde “Il segreto degli specchi è nell’occhio di chi guarda”.
Riferimenti: Casula, C. (2004). Giardinieri, principesse, porcospini. Metafore per l’evoluzione personale. Roma: Franco Angeli.
Cosa vuol dire “Il segreto degli specchi è nell’occhio di chi guarda”? Io l’ho interpretata come una sottolineatura del fatto che il processo di rispecchiamento è indissolubilmente legato alla persona che lo mette in atto: si tratta di un processo cui ha molto peso la soggettività, di chi osserva e di chi viene rispecchiato.
Siamo tutti immersi in un continuo gioco di rispecchiamenti reciproci che possono rinforzare o indebolire le convinzioni che abbiamo su noi stessi. Se guardata in questa prospettiva anche la comunicazione che si instaura tra paziente e terapeuta rappresenta una dinamica di rispecchiamento che permette di mettere a fuoco aspetti di sé, accedendo ad una maggiore consapevolezza. Si tratta di un scambio che permette ad entrambi di imparare cose nuove.