Vivere la perdita

Vivere la perdita

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L’emergenza sanitaria che ci troviamo a vivere ci costringe ogni giorno a mettere in discussione buona parte dei nostri punti fermi. Stiamo imparando a fare i conti con il senso di incertezza dovuto alla necessità di fronteggiare un cambiamento epocale.

La profonda revisione che siamo chiamati a compiere sta modificando il nostro modo di agire e la nostra percezione del mondo. Il lutto, inteso sia come elaborazione della provvisoria rinuncia alla nostra quotidianità e all’esercizio delle nostre libertà, che come necessità di fare i conti con la malattia e la morte, è un aspetto dell’esistenza venuto prepotentemente alla ribalta.

Un tabù dei nostri tempi

Non si parla mai volentieri della morte, che, dal mio punto di vista, rappresenta il vero grande tabù dei nostri tempi. E’ comprensibile il desiderio di difendersi prendendo le distanze da un tema così doloroso da affrontare; tuttavia, ignorare questa dimensione imprescindibile della vita non è realistico.

Nella società attuale il lutto è stato progressivamente svuotato della sua funzione: permettere alla persona di arrivare ad accettare la perdita subita, riorganizzando la propria esistenza su nuove basi. Ciò non vuol dire dimenticarci di chi abbiamo perso; significa, al contrario, ricreare con il nostro caro che è venuto a mancare un nuovo tipo di relazione, basata sui ricordi, sull’affetto reciproco e su quanto abbiamo condiviso.

Spesso si sottovaluta l’importanza di riconoscere ed accogliere il dolore dei superstiti, per aiutarli a non farsi sopraffare dalla sofferenza e a mitigare il senso di solitudine. Nell’immaginario comune elaborare il lutto è diventato sinonimo di negare il dolore, essere forti, stringere i denti ed andare avanti. Dimentichiamo troppo di frequente che la ferita del lutto non può rimarginarsi, se la sofferenza che determina rimane inascoltata.

L’importanza di poter dire addio

I tristi avvenimenti di questi giorni ci stanno costringendo, nostro malgrado, a confrontarci quotidianamente con il tema della morte e della perdita. Ogni giorno ascoltiamo il bollettino della Protezione Civile che, con i suoi numeri tanto scarni quanto brutali, ci informa dell’andamento della pandemia; dietro ogni numero c’è la storia di una persona che se ne è andata lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile e la storia dei suoi familiari che non hanno avuto la possibilità di dire addio.

Da persona, prima ancora che da psicologa, l’aspetto che mi colpisce maggiormente è che a queste persone è stata negata la possibilità di salutare i propri cari. Nessun abbraccio che potesse essere di conforto, nessuna parola affettuosa di vicinanza. Se un tale dolore non bastasse, sono stati privati anche del rituale del funerale, quel momento di congedo difficilissimo eppure necessario, che durante la fase di emergenza sanitaria non può essere celebrato.

Ripensare il lutto

Non posso fare a meno di pensare alla profonda sofferenza di queste famiglie. Auspico che ci possa essere un tempo in cui possano esprimere il loro dolore e ricevere tutto il conforto di cui hanno bisogno. Il mio auspicio è che questo momento storico di terribile difficoltà possa essere l’occasione per ripensare su nuove basi il lavoro del lutto, che chi vive sa bene essere un percorso lento e complesso, fatto di alti e bassi, in cui è fondamentale sentirsi capiti e accolti.

Mi auguro con tutto il cuore che, ad emergenza finita, troveremo il tempo e il modo per piangere chi non c’è più, perché piangere è importante. Non è solo uno sfogo, è un modo per prendere coscienza del vuoto che proviamo, per entrare in contatto con la nostra vulnerabilità, che ci rende fragili e umani. Affinché ciò avvenga, la vicinanza affettuosa e partecipe degli altri è essenziale.

Alleniamo noi stessi a non avere paura del nostro dolore e di quello degli altri. Evitare il dolore è evitare la vita stessa. Come afferma uno dei maggiori studiosi dei processi di lutto, Colin Parkes:

Il dolore del lutto

Il dolore del lutto è naturale come gioia dell’amore: la sofferenza determinata dal distacco nasce dall’intensità del legame che sentiamo verso la persona che abbiamo perso.

Per non soffrire per la morte di qualcuno, non dovremmo affezionarci a nessuno. Una vita del genere ci priverebbe della sofferenza, ma anche della gioia e della possibilità di amare ed essere amati.

E’ per questo che, come individui e come società, siamo chiamati a riconoscere la sofferenza che nasce dal vivere la perdita, prima in noi stessi e poi negli altri. Non lasciamo che l’illusione di sottrarci alla vulnerabilità ci renda più soli. Troviamo il coraggio di affrontare il dolore che proviamo a viso aperto, senza vergognarci della nostra umanità.

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