Il lockdown dovuto all’emergenza Covid 19 si protrae, ormai, da più di un mese; l’esperienza del tempo sospeso può essere davvero disorientante. Pur tenendo conto che dalla crisi possono nascere opportunità ritengo che estremizzare gli aspetti positivi di un fenomeno sia controproducente almeno quanto lo è vederne solo i lati negativi.
Se ci sentiamo ansiosi e/o tristi non dobbiamo vergognarcene e, tanto meno, nasconderlo a noi stessi. E’ perfettamente comprensibile provare timore per il futuro e dispiacere per la perdita della nostra consueta quotidianità. Non sto, naturalmente, proponendo di abbatterci, arrendendoci al corso degli eventi senza reagire, ma neanche di far finta che sia tutto come sempre.
Produrre risultati ad ogni costo?
Mi è capitato spesso di osservare quanto stordirsi di mille attività possa rappresentare, in certi casi, una fuga dalle emozioni scomode, piuttosto che un modo per esprimere la creatività, approfittando del tempo a disposizione.
Naturalmente non intendo che sia sbagliato dedicare il tempo ritrovato alle nostre passioni, costruendoci dei momenti di quotidiano benessere. Trovo, al contrario, che questa sia una bellissima opzione da cogliere. Mi riferisco al fatto di vivere il tempo sospeso come una sorta di sfida, o, meglio, come un esame da affrontare adeguatamente.
Sembra che questa quarantena non sia altro che tempo sprecato se non produce risultati: l’apprendimento di una lingua straniera, la frequenza di un corso on line di pilates, la lettura dei tanti libri in attesa sul comodino, la visione bulimica di film e serie TV, la sperimentazione di nuove ricette. Tutte cose, di per sé, stimolanti, a meno che non rappresentino l’ennesimo dovere da compiere.
Sarebbe davvero paradossale che questo tempo sospeso si popoli di nuovi obblighi e di ansie da prestazione non molto diverse da quelle pre-lockdown; timori ai quali si aggiungono quelli determinati dalla situazione attuale.
Valorizzare il “maggese”
Capisco che il tempo non strutturato possa fare paura. Propongo, tuttavia, di utilizzarlo non solo per sforzarci di produrre ma anche per concederci, se ne abbiamo la possibilità, un po’ di sano riposo, senza sensi di colpa.
Avete presente cos’è il maggese? Si chiama così la pratica, in agricoltura, di lasciare a riposo un terreno, non coltivandolo, in modo da permetterne la reintegrazione di sali minerali e di acqua per favorirne la fertilità in un momento successivo. In effetti il riposo rappresenta il necessario contraltare del lavoro. Se usassimo la quarantena come un maggese, un periodo di recupero delle forze funzionale al nostro benessere?
Se adottiamo questo punto di vista anche le attività proposte per riempire il tempo non rappresentano un’ulteriore fatica alla rincorsa della produttività, quanto piuttosto un modo di recuperare le energie, facendo cose che ci piacciono.
In questo senso anche la possibilità di concederci un tempo vuoto, senza obiettivi particolari se non quello di stare con noi stessi potrebbe essere una scoperta piacevole; abitare il tempo sospeso della quarantena come un tempo di maggese ci aiuta ad alleggerirci dal peso delle nostre stesse aspettative. Potrebbe forse essere la strada per una creatività più libera, non soggetta alle insidie della produttività auto imposta e ai criteri inflessibili dell’efficienza ad ogni costo? Io mi auguro di sì.